Dove vai, bellissima fanciulla? Chi ti chiama lontano dai tuoi cari? Abbandoni tu sola, allontanandoti, la cara casa così prima del tempo? Ritornerai nel mondo dei vivi? Tu farai felici un giorno costoro, che ora ti stanno intorno piangendoti?
Con gli occhi asciutti e con uno sguardo coraggioso, tu pur tuttavia sei mesta. Se la strada sia piacevole o dispiacevole, se il rifugio nel quale tu vai, sia triste o allegro, dal grave aspetto si indovina con difficoltà. Io da solo non posso stabilire con certezza, né al mondo si è riusciti ancora a capire, se tu debba essere considerata caduta in disgrazia o cara al cielo, se tu debba essere considerata misera o fortunata.
La morte ti chiama; quando stavi per sbocciare ecco che è giunto l’ultimo istante. Non tornerai più alla casa dalla quale esci. Non vedrai più la vista dei tuoi cari genitori. Il luogo dove tu vai è sottoterra e il tuo soggiorno là sarà in eterno. Forse tu sarai beata; ma se qualcuno guarda, e pensa tra sé e sé, al tuo destino, sospira di commiserazione e di dolore.
La miglior cosa sarebbe stata, credo, non nascere mai. Ma una volta nati, tutto si dilegua quando la bellezza si dispiega nel corpo e nel volto regalmente, quando la gente si inchina verso la fanciullezza; quando spunta ogni speranza, e prima che la triste realtà scagli le sue disgrazie alle festose fronti della fanciullezza; come una nuvoletta sotto forme labili, formatasi all’orizzonte, si dilegua rapidamente, così tu sei dileguata rapidamente, quasi se fossi non nata, e tanto fulmineamente i tuoi giorni futuri si cambiarono nei cupi silenzi della tomba. Se tutto questo è vero per l’intelletto, tanto che porterebbe logicamente al suicidio, altrettanto è doloroso per il cuore, che viene invaso da profondo dolore, ma fa desistere dal suicidio.
Madre, tu sei temuta e pianta da tutti gli esseri viventi fin dal loro nascere. Natura, non laudabile meraviglia, tu sei quella che dai la luce e nutri per uccidere; se il morire prematuro è dannoso agli uomini perché permetti che ciò accada per i giovani innocenti? Se il morire prematuro è un bene, perché è funesto, perché libera da ogni male, perché fai diventare la morte così dolorosa e straziante?
Questa umanità sensibile è misera ovunque guarda, ovunque si volga, ovunque chieda soccorso. Ti piacque, o Natura, che le speranze giovanili fossero deluse e disattese anche dalla vita; ti piacque che la fuga del tempo fosse piena d’affanni; ti piacque che la morte fosse l’unica difesa ai mali: e hai posto la morte come limite insuperabile, come legge immutabile della vita umana. Ahi perché dopo le disgrazie della vita, tu natura, almeno potevi prescriverci una morte più lieta? Anzi perché velare di neri panni colei, che noi portiamo sempre nella nostra anima, vivendo, certi della sua futura presenza? Anzi perché cingerci di animo così triste? Perché farci vedere il momento della morte più spaventoso di tutte le disgrazie della vita?
Ora dal momento che morire è sventura, ora che tu destini a noi mortali, che siamo ignari e senza colpa, la morte e che ci abbandoni alla via, senza nostra volontà, allora chi muore ha una invidiabile sorte, rispetto a colui che prova il dolore per il suo scomparso. Se tutto questo è vero, come io ritengo che sia vero, se il vivere è sfortuna, se il morire è fortuna, chi può desiderare la morte dei suoi più cari, per vedere lui rimanere solo, per vedere dalla porta di casa la partenza della sua persona amata, con la quale ha passato molti anni insieme per dire a lei addio e certa che non la potrà incontrare ancora nella vita terrena; poi rimasto solo e abbandonato sulla terra, guardandosi attorno a ricordare la persona scomparsa nel tempo e nei luoghi noti? Come, ahi come natura hai il coraggio di strappare dalle braccia l’amico all’amico, il fratello al fratello, il figlio al padre, l’amato all’amante e hai il coraggio di conservare uno morto e l’atro vivo? Come hai potuto far sì che noi mortali portassimo dentro tanto dolore, tale che il mortale sopravviva ad esso e, nonostante esso, continui ad amare il mortale? Ma la natura nelle sue mire ha ben altro che curarsi o del nostro male o del nostro bene.