Il tuo volto torna talvolta nel mio pensiero, Aspasia. Ora lo rivedo, velocemente, in altri volti della città, ora esso mi è destato dall’armonia di un giorno sereno, o dalle tacite stelle, e la mia anima è pronta a turbarsi di nuovo. Quanta adorata è stata questa visione e un giorno è stata la mia delizia e il mio tormento. Un profumo che sento emanare dalla fiorita campagna, o che provenga dalle vie della città, mi fa ricordare il giorno nel quale io ti vidi, tutta raccolta nei tuoi appartamenti, odorosi di fiori appena colti, vestita con una veste di colore bruno, con il fianco adagiato sopra un divano, tutta circondata di misteriosa voluttà, e tu, dotta allettatrice, intanto che baciavi i tuoi figli e li stringevi con le lue leggiadrissime mani al tuo seno coperto e desiderato, alzando il tuo bianco collo, ti muovevi con un fare seduttivo e malizioso. Allora un nuovo cielo, una nuova terra, un raggio divino, apparvero al mio pensiero, tanto che io, ferito dalla tua freccia d’amore, mi innamorai di te. Dentro di me portai questo amore infelice, ululando, da quel giorno ad oggi che fanno due anni.
La tua bellezza apparve al mio pensiero un raggio divino. La bellezza e l’armonia musicale hanno lo stesso effetto, e pare che vogliano svelare il profondo mistero e l’incantevole bellezza di sconosciuti paradisi. Il giovane, ferito e preso dall’amore, allora, insegue l’idea di bellezza che egli si crea nella mente; un’idea di bellezza che racchiude la perfezione divina. Il giovane amante, confronta l’idea di donna ideale con quella di donna reale e confonde le due immagini, così ché negli amplessi corporali egli ama più la donna ideale che la donna reale. Confonde la donna reale con quella ideale e spesso s’adira e incolpa la donna amata. La donna non sa, e non potrà mai capire, quale alta idea si fa il giovane dell’amore e non lo può capire perché un concetto così alto non entra nella sua mente. Il giovane cerca invano di scoprire la differenza tra la donna ideale e quella reale, negli sguardi di lei, o nei suoi sentimenti e pensieri, che sono diversi nelle donne, per natura inferiori. Esse, così come ricevono dalla natura delle membra più fragili, ricevono anche una mente meno capace e meno forte.
Tu, Aspasia, non puoi immaginare mai quello che tu stessa hai fatto nascere nel mio pensiero. Tu non sai quale smisurato amore, quali affanni intensi, quali indescrivibili sentimenti amorosi, quali deliri hai fatto scaturire in me e allo stesso modo un direttore d’orchestra non sa quali sono gli effetti che egli provoca in chi lo ascolta. Ora, però, l’idea (ideale), che io amai tanto, di Aspasia è morta. L’idea è morta per sempre, e di tanto in tanto, mi suole ritornare e scomparire la sua sbiadita immagine. Tu, invece, Aspasia reale, vivi e sei sempre tento bella che superi tutte le altre. La passione che era nata per te è morta: perché io amai non te ma l’idea della bellezza che ha ancora vita nel mio cuore, mentre il mio cuore è diventato un sepolcro per te. Io adorai, per molto tempo, la tua ideale bellezza e mi piacque tanto seguirla che io, ben consapevole di te, delle tue arti e delle tue insidie, contemplando nei tuoi occhi reali i begli occhi della donna ideale, ti ho seguito cupidamente, finche l’idea di bellezza visse in me; accettai di obbedire al tuo dominio, aspro e lungo, non perché ingannato da te, ma per il dolce piacere che provavo nel vedere la dolce somiglianza tra lei (l’ideale) e te.
Ora tu, Aspasia reale, ti puoi vantare perché puoi dire che sei stata la sola del tuo sesso: alla quale io abbassai il mio fiero capo e alla quale io offrii il mio cuore indomito. Puoi dire che sei stata la prima donna, e spero che sarai anche l’ultima, che vedesti il mio sguardo supplichevole, che vedesti me tremante, timido (brucio di rabbia e di rossore nel dirlo) e puoi dire che vedesti me fuori di me, che spiavo e scrutavo sommessamente ogni tuo desiderio, ogni tua parola e ogni tuo atto; puoi dire che mi vedesti impallidire ai tuoi superbi fastidi, vedesti me brillare nel volto ad ogni tuo atteggiamento benevolo; puoi dire che vedesti me mutare forma e colore ad ogni tuo sguardo. La suggestione del tuo amore, e della mia passione, è finita, così come è finito anche il dominio che mi legava a te, e di questo me ne rallegro. E dopo il lungo servirti, e dopo il mio lungo vaneggiare, riacquisto, contento, il senno e la libertà, seppure essi siano pieni di tedio. Orbene se la vita, priva d’amore e di illusioni, è triste, vuota come una notte buia e senza stelle in pieno inverno, tale sono io, perché sono rimasto solo. Ma il conforto e la vendetta che io mi prendo sul mio destino mortale consiste nel fatto che sono divenuto indifferente ed immobile, e mentre sto seduto qui a guardare il mare, la terra e il cielo sorrido.