Parafrasi - Opera Omnia >>  Giacomo Leopardi : « Le ricordanze » Testo originale    




 

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      Belle stelle dell'Orsa mai avrei creduto di tornare ancora a contemplarvi dopo tanto tempo come una volta mentre scintillate sul giardino della casa paterna e parlare con voi dalle finestre della casa ove abitai fanciullo e vi conobbi la fine delle mie gioie. Quante immagini e quante fantasie un tempo mi creò nel pensiero della vostra vista e della altre stelle a voi vicine nel cielo! quando, silenzioso, seduto sul prato, solevo trascorrere gran parte delle sere scrutando il cielo ed ascoltando il canto della rana lontana nei campi. E la lucciola volava presso le siepi e sulle aiuole, mentre i viali odorosi e i cipressi lontani nella selva sussurravano al vento; e la casa paterna risuonava delle voci alterne e delle tranquille opere dei servi. E quali pensieri immensi, quali dolci sogni mi ispirò il vedere il mare lontano e i monti azzurri che scopro dalla casa e che sognavo un giorno di varcare, pensando di trovarvi al di là mondi misteriosi e immaginando per la mia vita una sconosciuta felicità. Ignaro del mio destino e di quante volte in seguito avrei senza rimpianti cambiato con la morte questa mia vita dolorosa e spoglia di gioie.

      Né il cuore mi diceva che sarei stato condannato a consumare la mia giovinezza in questo natio borgo selvaggio, fra gente incivile e ignobile; per la quale la voglia di conoscenza e cultura sono parole strane e spesso oggetto di scherno; che mi odia e mi sfugge non già per invidia, perché non mi ritiene migliore di sè, ma perché tale pensa che io mi ritenga dentro di me, sebbene mai abbia mostrato qualche segno di ciò. Qui passo gli anni, abbandonato, nascosto, senza vita e senz'amore, e tra lo stuolo dei malevoli divento contro la mia natura scortese: qui mi spoglio della pietà e delle virtù e divento dispregiatore degli uomini, a causa della gente meschina tra cui vivo; e intanto vola il caro tempo della gioventù, più caro della fama e della gloria, della pura luce del giorno e dello stesso vivere: ti perdo senza un attimo di gioia, inutilmente, in questo soggiorno disumano, tra gli affanni, unico fiore dell'arida vita.

      Viene il vento recando dalla torre del borgo il suono delle campane. E mi ricordo questo suono era un conforto per me quando ero fanciullo quando durante le mie notti nella camera buia vegliavo a causa degli incessanti incubi, sospirando che giungesse presto il mattino e la luce del giorno. Qui non c'è nulla che io veda o senta che dalla memoria non affiori un'immagine e da quella prenda vita un dolce ricordare. Dolce in se stesso; ma con dolore subentra il pensiero del presente e un vano desiderio del passato che mi porta a dire: ho esaurito la mia esistenza. Quella loggia volta a ponente; queste pareti affrescate e quei dipinti che raffigurano greggi, e il Sole che nasce sulla solitaria campagna mi procurarono mille diletti durante i momenti di riposo dagli studi, quando, dovunque mi trovassi, avevo accanto a me quella mia capacità di credere nei miei sogni. In queste sale antiche, al chiarore delle nevi, mentre il vento sibilava intorno a queste ampie finestre, risuonarono i giochi e le mie felici grida al tempo in cui a noi si mostra pieno di dolcezza il duro, l'indegno mistero della realtà, non ancora sperimentata e intatta; e chi è ancora ragazzo come un innamorato inesperto, così sogna una vita che sarà invece piena d'inganni, e ammira una celeste bellezza vista con l'immaginazione.

      O speranze, speranze, dolci inganni della mia fanciullezza! sempre, parlando, ritorno a voi; perché non so dimenticarvi per quanto trascorra il tempo, per quanto mutino gli affetti e i pensieri. Fantasmi, lo so, sono la gloria e l'onore, i diletti e il bene un puro desiderio. E sebbene vuoti siano gli anni miei, sebbene oscuro e solitario sia la mia vita mortale, lo so che la fortuna ha ben poco da prendersi di me. Ma ahimè, ogni volta che ripenso a voi, o mie antiche speranze, ed a quel mio primo fantasticare sul mio futuro e lo confronto con questa mia vita così inutile e così dolorosa e che solo la morte mi resta dopo aver sognato grandi speranze, sento stringermi il cuore e sento che non mi so rassegnare interamente al mio destino. E quando pure questa invocata morte mi raggiungerà e sarà giunto la fine della mia sventura; quando la terra per me sarà una valle straniera e dal mio sguardo fuggirà il futuro; certamente mi ricorderò di voi, e quell'immagine mi farà ancora sospirare, mi renderà amaro l'aver vissuto invano; e l'amarezza del ricordo guasterà persino il giorno in cui avrò la gioia di cessare di vivere.

      E già nella fanciullezza, in quel primo tumulto di gioie d'angosce di desideri, più volte chiamai la morte e a lungo mi sedetti là sulla fontana pensando di fare cessare dentro quelle acque la speranza, il dolore della mia vita. Poi ridotto in pericolo di vita da un'oscura malattia, rimpiansi la bella giovinezza e il fiore dei miei giorni poveri di gioie che così precocemente appassiva; e spesso a tarda sera, seduto sul letto che, testimone, scrivendo dolorosamente poesie alla luce della fioca lucerna, piansi coi silenzi e con la notte miei unici compagni, l'energia vitale che mi abbandonava. E nel momento in cui la vita mancava, cantai un canto funebre.

      Chi vi può ricordare senza sospiri, o primi momenti della giovinezza, o giorni pieni di lusinghe, inenarrabili, e allorquando al giovane incantato per la prima volta sorridono le fanciulle; a gara intorno ogni cosa sorride, l'invidia tace non eccitata ancora oppure è innocua; e, (inusitata meraviglia), quasi il mondo porge la destra in aiuto, scusa i suoi errori, festeggia il suo nuovo entrare nella vita, ed inchinandosi a lui mostra di accettarlo per suo signore e lo chiami? Ma sono giorni fugaci: sono dileguati come un lampo. E quale uomo può dire di non aver conosciuto la sventura se trascorsa è ormai quella sua bella età, se il suo bel tempo, se la giovinezza, ahi la giovinezza è ormai finita?

      O Nerina! E non odo forse questi luoghi parlare di te? forse sei caduta dal mio pensiero? Dove sei andata, che qui di te trovo solo la ricordanza, dolcezza mia? Questa terra natale ormai non ti vede più: quella finestra, dalla quale avevi l'abitudine di parlarmi, e dove si riflette mestamente la luce delle stelle ora è deserta. Dove sei, che più non sento risuonare la tua voce, quando ogni parola che dalle tue labbra mi giungeva da lontano mi faceva impallidire? Altro tempo. I tuoi giorni furono, mio dolce amor. Passasti. Il passaggio su questa terra ad altri ora è dato in sorte, l'abitare questi odorati colli. Ma troppo in fretta sei passata e breve come un sogno è stata la tua vita. Andavi come danzando nel cammino della vita. La gioia ti splendeva in fronte e quel fiducioso immaginare intorno all'avvenire e la luce della gioventù ti splendevano negli occhi, quando il destino li ha spenti facendoti giacere. Ahi Nerina. Nel mio cuore regna l'antico amore. Se qualche volte vado a una festa o a radunanze, fra me stesso dico: O Nerina a radunanze e a feste non vai più e più non ti abbigli. Se torna maggio e gli amanti vanno recando alle fanciulle canti e ramoscelli fioriti, dico: per te Nerina mia la primavera non tornerà mai più, né tornerà l'amore. Ogni giorno sereno, ogni valle fiorita che io miro, ogni piacere che io sento, dico: Nerina ora non gode più; i campi e l'aria non guarda più. Ahi tu sei passata, eterno sospiro mio: passasti e l'acerbo ricordo sarà compagno d'ogni mio dolce immaginare, di tutti i mei teneri sentimenti, di tutti i miei tristi e cari moti del cuore.







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