Giacomo Leopardi - Opera Omnia >>  Dissertazione sopra il moto




 

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Il moto di cui ogni corpo è suscettibile, non mai però per propria forza, ha dato soggetto a molte diverse Filosofiche questioni. Egli è, al dir d'Aristotele "Actus entis in potentia, prout in potentia". Questa definizione sembra però così oscura, che ad onta de' maggiori sforzi degli ostinati Peripatetici da ogni sensato Filosofo al dì d'oggi vien rifiutata. A simile inconveniente pongon riparo i Cartesiani, affermando essere il moto una successiva applicazione della materia a diverse parti de' corpi, che a lei immediatamente s'avvicinano. Ma chi non vede l'assurdità d'un tal principio? Ammessa questa proposizione, dovrebbe ammettersi in conseguenza, che una nave rattenuta, dall'ancora in mezzo al flusso dell'acque sia in perpetuo moto poichè ella, è soggetta ad una continua applicazione delle sue parti con l'onde, che ad ogni tempo succedendosi, a lei immediatamente s'avvicinano: al contrario se un globo si ruoti per mezzo dell'impulsione su qualsivoglia superficie, l'interior parte del globo resterà sempre immobile, e ferma, ad onta della forza impressagli, il che non può affermarsi senza una manifesta contradizione. Come falso perciò, e come assurdo deve rigettarsi un siffatto principio. Qual sarà dunque la vera definizione del moto? Dovrò io forse con il Bernier, ed altri Filosofi darmi per vinto, e confessare l'impossibilità d'esprimere che cosa è il moto? No: Sarebbe questo un vile timore, che cede ad ogni piccolo ostacolo, e non ardisce d'avanzarsi alla verità. Il moto vien definito dai Gassendisti una continua, e non interrotta mutazione del luogo, e benchè con ridicoli sofismi si sforzino i partigiani di Bernier di sopprimer questa definizione, essa viene approvata dal chiarissimo P. Jacquier nella sua Fisica, ed è questa quella, che da me viene abbracciata come più chiara d'ogn'altra, e dimostrata dall'interno testimonio della propria cognizione.

Definito adunque il moto, passiamo ad esaminare le sue leggi, e le sue proprietà. Ogni corpo, come abbiam detto, è suscettibile del moto; nessun corpo è capace di forza insita motrice. Ciò vien dimostrato dall'esperienza, nè alcun sensato Filosofo potrà dubitarne. Ciò posto adunque, qual sarà la vera cagione del moto? I Cartesiani asseriscono esserne Iddio la prima, ed unica causa. Questa proposizione può, e deve certamente ammettersi, non però così le conseguenze, che da essa deducono i di lei Autori. Pretendon questi, che l'anima sia affatto incapace della forza impellente. Chiamano error fanciullesco il credere che noi siamo gli autori di quei moti, che tuttogiorno in noi sperimentiamo, e di quelli, che ad altri corpi vengon per nostro mezzo communicati. Nondimeno io vorrò piuttosto pensar da fanciullo, e sostener ciò, che la natura c'insegna, che opinar da sapiente, ed oppormi all'interna voce della propria esperienza. Soffrano dunque i Cartesiani da un Bambino imbevuto ancora, come essi dicono, da grossolani principj, alcune richieste. Io dimando se è lecito opporsi alla natura colle Filosofiche ipotesi, quando senza alcuna difficoltà posson seguirsi i suoi dogmi: io ricerco se v'è alcuna assurdità nel sistema il quale afferma che Dio abbia nella sua creazione communicata all'anima umana la sua forza motrice de' corpi: Io chiedo finalmente se ciò sembra ripugnare alla natura più del contrario sistema, e se può mai ricorrersi alla prima causa, quando bastino le seconde a spiegare senza alcuna assurdità gli effetti, che sono in questione. Ciò posto io concedo, che Dio sia la prima, ed unica causa del moto, non però prossima, e nego in seguito tutte le ridicole conseguenze che da questo principio traggono i Cartesiani. Affermo soltanto essere Iddio la prima, unica, e prossima causa del moto primitivo degli astri, de' Pianeti delle sfere, del sole, ovvero, secondo il sistema Copernicano della terra. In quanto poi ai moti de' corpi animali, e vegetabili, e di quelli communicati alle materie insensibili per mezzo de' corpi animali, io ammetto l'Ente supremo come causa di essi solamente remota. Ma di ciò abbastanza ragionasi in quella parte di Metafisica, in cui si tratta de' tre famosi sistemi di Eulero, di Cartesio, e di Leibnizio intorno ai moti dell'uomo.

Altra legge del moto è, che un corpo qualunque incontrandosi nel suo corso con altro corpo qualsivoglia, tanta forza motrice riceva il corpo spinto, quanta ne perde quello, che a lui la comunica. Intorno però a questa forza motrice è a sciogliere una questione. Che cosa è ella questa forza? Come possono spiegarsi i suoi effetti? Forse attribuendo ai corpi inanimati le umane sensazioni? Forse astraendo da tutte le nostre idee ed ammettendo per forza motrice un'entità metafisica, che da noi in alcuna parte non possa concepirsi? La prima di queste proposizioni è per se stessa un assurdo, la seconda in alcun modo non può dimostrarsi. Dovrò io dunque concludere con il P. Jacquier che questa forza motrice non può spiegarsi se non intendendo sotto questo nome i suoi effetti senza investigarne la causa.

La terza legge del moto è, ch'esso continui per tutto quel tempo in cui la forza dell'impulsione trionfa di tutti gli ostacoli, che al medesimo oppongono gli attriti del corpo mobile, e della superficie, su cui esso si muove, e d'ogn'altro impedimento, che dall'umana industria non può esser tolto. La causa di questa continuazione del moto è apportata da Cartesio, ed approvata da tutti quasi i moderni filosofi, cioè quella legge della natura, per cui ogni corpo, tolti gl'inevitabili ostacoli, è costretto a rimaner sempre nello stato medesimo di moto, o di quiete, ciò, che in Fisica s'appella "Forza d'inerzia".

Riconosce similmente il Filosofo come altra regola del moto la progressione in linea retta d'un corpo mobile sopra un piano orizontale. Un tal principio sussiste ancora ad onta del seguente esperimento. In un piano orizontale avviene talvolta, che se si comunichi la forza motrice ad un globo qualunque, esso scorre sulla superficie per qualche tempo in linea retta, e quindi come spontaneamente alla contraria parte si volge, ciò che sembra opporsi al sopraddetto principio. Nondimeno possono ammettersi ambedue gli esperimenti senza alcuna repugnanza nè dall'una, nè dall'altra parte. La contraria progressione del globo avviene, perchè nel suo moto rettilineo egli riceve ancora un moto intorno all'asse, il quale persevera anche dopo estinto il primo suo moto, finchè esso venga altresì a svanire per i sopraddetti impedimenti.

La quinta legge, e proprietà del moto si è, che un corpo il quale ha ricevuto la stessa quantità di moto impresso, che un altro corpo della stessa grandezza scorra nello stesso tempo lo spazio medesimo di quest'ultimo, ciò che vien dimostrato dalla natura, e dalla commune esperienza, nè d'alcuna prova certamente abbisogna.

Son queste le principali leggi del moto, per la maggior parte evidenti al primo aspetto, tanto allo sguardo d'un Filosofo, quanto agli occhi d'un semplice villanello. Varie altre regole, e proprietà del moto accenna Cartesio, le quali però come osserva un sensato Scrittore sono per lo più "o inutili, o dubbiose, o false, o suppongono ciò ch'è incerto, o un altro stato di cose diverso dal presente, e i corpi diversi di natura da quelli, che veggiamo, o finalmente sono contrarie alla esperienza". Lasceremo adunque di esaminarle, e passeremo a spiegare alcuni fenomeni appartenenti al moto, che ne' corpi tuttogiorno si scorgono.

Le ragioni metafisiche dimostrano, che un corpo qualunque quiescente resiste all'impulsione d'un corpo mobile, e un corpo mobile resiste a colui, che a rattenerlo s'accinge, ciò che l'esperienza ancora ci fa chiaramente conoscere. Ciò posto qual sarà la cagione d'una tal resistenza? La Forza d'inerzia. Abbiam già detto, che un corpo ripugna alla mutazion dello stato, onde apertamente si scorge qual sia la cagione d'una tal resistenza, che vien fisicamente chiamata reazione, e la di cui contraria forza, che fa un corpo impellente appellasi "azione". Per ciò deducono i Filosofi un corollario dalla Forza d'inerzia, cioè, che la reazione esser deve contraria sempre, ed eguale all'azione del corpo impellente, finchè la sua massa somministra al corpo percosso la forza necessaria, poichè, se eguale essa non fosse, il corpo non resisterebbe che ad una sola parte della mutazion dello stato, il che è evidentemente falso.

In simil modo si spiega il moto retrogrado di qualsivoglia arma da fuoco allo scoppiar della polve d'archibugio. Dal sopraddetto principio viene altresì spiegato il seguente fenomeno. Se con forza sufficiente si spinga un vaso ripieno d'acqua, o di qualunque altro liquore, l'acqua si muoverà d'un moto direttamente contrario a quello del vaso, e poichè essa cedendo all'impulsione ammise in se lo stesso moto di questo, se subitamente il medesimo venga rattenuto, l'acqua s'innalzerà sopra l'orlo del vaso. Ciò avviene, perchè opponendosi il fluido al moto del vaso si sforza di conservare il suo stato di quiete, e quindi poichè acquistò perfettamente lo stato di moto, tenta di mantenerlo ad onta della forza, che rattiene il suo recipiente.

Per la medesima causa vien chiaramente spiegato il modo, in cui avviene, che quelli specialmente, i quali al mar sono ignoti, e su d'una nave allo stesso si affidano, a molto incomodo, e nausea, e dolor s'assoggettino poichè resistendo al moto gli umori contenuti nel ventricolo, negl'intestini, e negli altri canali, vengono a produrre ciò, che qui sopra dicemmo. Dalla forza d'inerzia, e dalla reazione proviene ancora, che quelli, che in un cocchio, o in una nave velocemente son trasportati, se subitamente il corso sia rattenuto, i medesimi si sentano come spinti all'anterior parte del luogo ove si trovano.

Ecco adunque per mezzo della Forza d'inerzia, e del principio di azione, e reazione, spiegati i principali fenomeni, che intorno al moto si osservano. Nè credo alcerto, che in dubbio possa rivocarsi quanto sopra abbiam detto, poichè dimostrata essendo la Forza d'inerzia, sembrami, che senza alcun dubbio gli accennati fenomeni ammetter si debbano.

Nè alcuno si dia a credere, che supposta sia questa forza, poichè oltre l'essere ella proposta, abbracciata, ed approvata da più sapienti Filosofi, essa vien dimostrata da sì facili, e semplici argomenti, che dagli eruditi spiriti non solo, ma ancora da qualsivoglia indotto fanciullo possono esser compresi. Ed infatti, che afferma mai questo principio, se non che esser legge di natura, che ogni corpo tenda a conservare il suo pristino stato? e ciò posto, non è egli dimostrato dalla quotidiana esperienza, che un corpo ricusa di ammettere in se lo stato di moto, se quiescente, tenta di perseverare nella sua progressione qualunque, se mobile?

Suppongasi, che questa Forza d'inerzia, questa resistenza della materia alla mutazion dello stato non sussista, se non nella mente del volgo, e non sia, che un commun pregiudizio. Ammessa una tale ipotesi, noi vedremo al più leggero tocco scuotersi, e muoversi i smisurati macigni, e similmente fermarsi al più piccolo cenno, ciò, che non sarebbe, a mio credere così disgradevole all'uomo, che non desiderasse l'adempimento di questa ipotesi. Nondimeno io sono obbligato ad affermare non solo, che ciò sarebbe un assurdo, ma a stabilire ancora sopra la falsità di questa proposizione la sede d'un principio, che sarà sempre immobile, ad onta de' maggiori sforzi degli ostinati avversarj.

Ecco brevemente esposta la dottrina del moto, in cui però non trattasi della discesa de' gravi, e di quelle altre proprietà, di cui il parlare sembrami appartenere piuttosto ad un ragionamento intorno alla forza di gravità, e d'attrazione, che ad un breve discorso intorno al moto.

Raccogliendo adunque ciò, che finora trattammo; io affermo doversi abbracciare la definizione del moto proposta dai Gassendisti, ammetto l'Ente Supremo come prima causa di qualsivoglia moto, che avvenga in tutto l'universo, negando però quelle conseguenze che da ciò deducono i Cartesiani, ed opponendo ad esse le acconcie distinzioni, e gli opportuni argomenti. Stabilisco, come principali leggi, e proprietà del moto quelle, che di sopra accennai, e rigetto come inutile, o falsa ogn'altra di quelle, che da' Cartesiani vengon proposte. Affermo l'esistenza della Forza d'inerzia e ciò, che da essa deducesi, cioè che l'azione esser deve contraria, ed uguale alla reazione, ed ammetto finalmente tutto ciò, che già dissi intorno ai varj fenomeni, ed osservazioni concernenti il moto.


EDIZIONE DI RIFERIMENTO: "Giacomo Leopardi, Tutte le opere", a cura di Lucio Felici, Lexis Progetti Editoriali, Roma, 1998







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